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L’Agenzia delle Entrate ha reso disponibile in consultazione pubblica la bozza di circolare con i chiarimenti sulla disciplina di tassazione delle cripto-attività. Il documento illustra le norme in vigore a partire dal 1° gennaio 2023.

Lo scopo della consultazione pubblica è quello di permettere all’Agenzia delle Entrate di valutare i contributi trasmessi ed eventualmente recepirli nella versione definitiva della circolare.

Passando all’analisi dello schema di circolare, in primo luogo vengono confermate le interpretazioni fornite con riferimento ai periodi d’imposta anteriori al 2023, adottando il principio secondo cui alle operazioni avente ad oggetto valute virtuali risultano applicabili, in generale, le disposizioni fiscali vigenti in materia di valute estere aventi corso legale.

A decorrere dal 2023, invece, il quadro di riferimento muta radicalmente a seguito dell’introduzione di un articolato impianto normativo.

Attualmente, il regime impositivo delle cripto-attività per i soggetti non imprenditori fa rientrare tra i redditi diversi di natura finanziaria “le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominate”.

La norma prevede, inoltre che:

- tali redditi non sono assoggettati a tassazione se inferiori, complessivamente, a 2.000 euro nel periodo d’imposta;

- in ogni caso non costituisce fattispecie fiscalmente rilevante la permuta tra cripto-attività aventi le medesime caratteristiche e funzioni.

In merito, lo schema di circolare precisa che la cessione degli NFT da parte dell’autore non determina un reddito diverso ai sensi della disposizione menzionata sopra. Si afferma che il medesimo, qualora non costituisce un reddito conseguito nell’esercizio di impresa commerciale, si considera un reddito di lavoro autonomo, nel caso in cui l’attività sia oggetto dell’esercizio di arti o professioni, ovvero a nel caso in cui l’attività non sia esercitata abitualmente.

Per quanto riguarda la permuta, la norma stabilisce che non costituisce evento fiscalmente rilevante quella tra cripto-attività aventi eguali caratteristiche e funzioni.

L’interpretazione suggerita dall’Agenzia delle Entrate è, correttamente, quella secondo cui non rappresenta una fattispecie realizzativa lo scambio di una cripto-valuta con un’altra (ad esempio, l’acquisto di ethereum con bitcoin) né lo scambio di un NFT con un altro NFT. Si considera, invece, una fattispecie fiscalmente rilevante come permuta ad esempio l’acquisto di un NFT con una cripto-valuta.

Con riferimento alla disciplina sul monitoraggio fiscale, l’attuale formulazione prevede la compilazione del quadro RW per le persone fisiche, le società semplici e gli enti non commerciali che detengono cripto-attività.

La decorrenza dell’assegno unico e universale, istituito dal DLgs. 230/2021, varia in base al momento di presentazione delle domande. In particolare, c’è tempo fino al 30 giugno 2023 per ottenere le mensilità arretrate dallo scorso marzo, mentre per le domande presentate dal 1° luglio in avanti la prestazione decorrerà dal mese successivo a quello di presentazione della domanda.

In proposito, occorre ricordare che dal 1° marzo 2023, l’assegno unico e universale viene erogato d’ufficio, senza la necessità di presentare nuova istanza, per i soggetti che nel periodo tra gennaio 2022 e febbraio 2023 abbiano presentato la domanda e la stessa non sia stata respinta, revocata o decaduta oppure oggetto di rinuncia da parte del richiedente.

Per l’erogazione d’ufficio, l’Istituto di previdenza farà riferimento ai dati presenti nelle domande già acquisite e agli altri dati rilevati dall’ISEE e il beneficiario potenziale dovrà intervenire sulla domanda precompilata dall’INPS solo ed esclusivamente nel caso in cui si rendesse necessario segnalare eventuali variazioni e dal momento in cui queste si manifestino.

A titolo esemplificativo, le ipotesi di variazione della domanda – che, in alcuni casi, possono anche determinare la necessità di presentare una DSU aggiornata – possono riguardare la nascita di figli, l’eventuale inserimento o variazione della condizione di disabilità del figlio, le variazioni della modalità di pagamento prescelte ecc.

La presentazione deve avvenire in via telematica, accedendo al sito web, tramite Contact Center Integrato e istituti di Patronato o, in aggiunta, utilizzando il nuovo servizio per i dispositivi mobili, installando l’applicazione “INPS Mobile” e selezionando dalla homepage il servizio “Assegno unico e universale per i figli a carico”. Come detto, se presentata entro il 30 giugno, l’istanza produrrà i suoi effetti con efficacia retroattiva, comportando il riconoscimento degli importi relativi alle mensilità arretrate con decorrenza dal mese di marzo del medesimo anno, mentre per quelle presentate dal 1° luglio in avanti la prestazione decorrerà dal mese successivo a quello di presentazione della domanda.

La generalità delle operazioni la cui controparte non è stabilita in Italia richiede la presentazione del c.d. “esterometro” o, in alternativa, la produzione di un documento in formato elettronico trasmesso via Sistema di Interscambio.

La certificazione dell’operazione – mediante l’una o l’altra modalità – avviene, dal 1° luglio 2022, secondo lo stesso schema operativo.

Ciò in cui l’adempimento del c.d. “esterometro” si diversifica rispetto alla fatturazione sono, essenzialmente, le conseguenze sanzionatorie derivanti da omissioni o errori.

Sono escluse dall’obbligo comunicativo alcune operazioni transfrontaliere fuori campo IVA.

L’art. 12 del DL 73/2022 ha escluso il c.d. “esterometro” per ciascun acquisto di beni e servizi non rilevante territorialmente ai fini IVA in Italia, qualora di importo non superiore a 5.000 euro.

Nessuna deroga è prevista per le prestazioni esenti da imposta, come quelle a carattere finanziario.

Se il fornitore è un soggetto passivo italiano, le prestazioni di servizi finanziari B2C sono in via ordinaria, rilevanti ai fini IVA in Italia.

A questo criterio generale si deroga quando il committente è domiciliato e residente al di fuori dell’Unione europea: in tal caso, infatti, il servizio non è rilevante in Italia.

Nella diversa ipotesi in cui il cliente sia domiciliato e residente al di fuori dell’Ue, l’operazione è, come detto, fuori campo IVA, ma risulta comunque dovuta la presentazione del c.d. “esterometro”. È, inoltre, richiesta l’emissione della fattura con l’annotazione “operazione non soggetta” ex art. 21 comma 6-bis del DPR 633/72 (o, in caso di fattura elettronica, il codice natura “N2.1”).

In merito all’obbligo di presentazione del c.d. “esterometro” per l’acquisto di servizi in regime di esenzione, una conferma espressa è stata fornita dalla risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 91/2020, avente a oggetto i servizi di pagamento elettronici forniti da una società del Regno Unito a una società italiana, addebitando a quest’ultima specifiche fee sulle transazioni elettroniche effettuate.

L’acquisto effettuato dal soggetto passivo nazionale richiede comunque, ai sensi dell’art. 17 comma 2 del DPR 633/72, l’“integrazione” della fattura ricevuta (se il fornitore è Ue) o l’emissione di un’autofattura (se il fornitore è extra Ue), indicando il titolo di esenzione e annotando il documento sia nel registro degli acquisti che nel registro delle vendite.

A livello gestionale, il file XML relativo all’acquisto effettuato, in quanto riferito a un’operazione esente, dovrà essere compilato con il codice “N4”.

È stato pubblicato il provv. n. 156803 dell’Agenzia delle Entrate, con il quale è data attuazione alle nuove norme relative ai controlli connessi all’attribuzione di un numero di partita IVA ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione.

L’intervento normativo consiste nel rafforzamento dei controlli conseguenti al rilascio del numero di partita IVA, nell’ottica di contrastare tempestivamente e prevenire fenomeni evasivi. I controlli sono, quindi, rivolti principalmente alle partite IVA di nuova attribuzione, le quali potrebbero caratterizzarsi per un breve periodo di operatività, associato ad un mancato adempimento degli obblighi dichiarativi e di versamento delle imposte.

Nel provvedimento viene specificato che sono comprese nell’ambito dei controlli anche le partite IVA già esistenti e, nello specifico, quelle che, “dopo un periodo di inattività o a seguito di modifiche dell’oggetto o della struttura, riprendano ad operare con le caratteristiche innanzi dette” (ossia senza una piena operatività con l’inadempimento degli obblighi fiscali).

Ai fini in esame, le nuove disposizioni attribuiscono, dunque, all’Agenzia delle Entrate il compito di effettuare specifiche analisi di rischio sui soggetti passivi IVA, a esito dei quali questi ultimi possono essere invitati a comparire presso gli Uffici per esibire le proprie scritture contabili laddove obbligatorie.

Nel caso di mancata comparizione “di persona” del contribuente ovvero di esito negativo dei riscontri operati sui documenti eventualmente esibiti, l’Ufficio emana un provvedimento di cessazione della partita IVA e contestualmente irroga una sanzione pari a 3.000 euro.

La valutazione “rischio fiscale” dei soggetti sarà condotta, principalmente, su elementi di rischio:

- riconducibili al titolare della ditta individuale, al lavoratore autonomo o al rappresentante legale;

- relativi alla tipologia e alle modalità di svolgimento dell’attività, rispetto ad anomalie economico-contabili nell’esercizio della stessa, strumentali a gravi o sistematiche condotte evasive;

- relativi alla posizione fiscale del soggetto titolare della partita IVA, per il quale emergano gravi o sistematiche violazioni delle norme tributarie.

È possibile richiedere una nuova attribuzione della partita IVA, da parte del medesimo soggetto, in seguito al provvedimento di cessazione. La riapertura è però condizionata dal previo rilascio di una polizza fideiussoria o di una fideiussione bancaria triennale e di importo non inferiore a 50.000 euro (salvo il caso di violazioni fiscali il cui importo supera 50.000 euro). La garanzia deve, quindi, riportare il contenuto minimo previsto nel fac-simile allegato al provvedimento.

Per le commissioni sui pagamenti elettronici 2023 è possibile fruire del credito d’imposta del 30%. L’art. 22 del DL 124/2019 prevede il riconoscimento – a regime, non essendo previsto alcun termine ultimo – di un credito d’imposta agli esercenti per le commissioni addebitate in relazione ai pagamenti elettronici ricevuti da privati.

In particolare, possono beneficiare di tale agevolazione gli esercenti attività di impresa, arte o professioni che nell’anno d’imposta precedente (vale a dire nel 2022, ai fini in esame) abbiano avuto ricavi e compensi non superiori a 400.000 euro.

Il credito d’imposta è pari a 30% delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate mediante:

- carte di credito, di debito o prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 7 sesto comma del DPR n. 605/73;

- altri strumenti di pagamento elettronici tracciabili.

L’agevolazione è prevista per le commissioni dovute in relazione a cessioni di beni e prestazioni di servizi rese nei confronti di consumatori finali dal 1° luglio 2020 ed è riconosciuta nel rispetto della disciplina europea relativa agli aiuti “de minimis”.

Quanto alla modalità di fruizione, il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione tramite F24 a decorrere dal mese successivo a quello di sostenimento della spesa (art. 22 comma 4 del DL 124/2019).

A tal fine, il modello F24 deve essere presentato esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate, pena lo scarto dell’operazione di versamento.

Il beneficio dovrà essere inoltre indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di maturazione del credito (quadro RU, codice credito “H3”) e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta successivi fino a quello nel quale se ne conclude l’utilizzo.

Il credito d’imposta, per espressa disposizione normativa, non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini IRAP e non rileva ai fini del rapporto di cui agli artt. 61 e 109 comma 5 del TUIR.

Le sostituzioni di prodotti o di parti difettose degli stessi non costituiscono operazioni imponibili ai fini IVA nel presupposto che le stesse siano effettuate in esecuzione di un’obbligazione contrattuale o di specifici adempimenti normativi e che non sussista un corrispettivo, in quanto il prezzo di vendita dei beni, già assoggettato a imposta, è comprensivo anche di eventuali cessioni in sostituzione. È questo, in estrema sintesi, uno dei chiarimenti contenuti nella risposta a interpello n. 304, pubblicata dall’Agenzia delle Entrate.

Il caso posto all’esame dell’Amministrazione finanziaria concerne una società che ha ceduto impianti a soggetti privati o a “Dealers” (rivenditori), che, a loro volta, hanno venduto i beni ai propri clienti. Nel prezzo corrisposto dai cessionari è stato stabilito che fossero comprese anche eventuali prestazioni di manutenzione o sostituzione degli impianti difettosi o pericolosi.

In conseguenza di difetti strutturali da cui potevano derivare pericoli per il consumatore, la società produttrice ha quindi posto in essere una campagna di richiamo e sostituzione degli impianti con nuovi prodotti del medesimo tipo, senza alcun esborso per il cliente o per i “Dealers”.

L’Agenzia delle Entrate conferma con la risposta n. 304/2023, che sono irrilevanti, ai fini IVA, anche qualora avvengano al di fuori della garanzia, le operazioni di richiamo e sostituzione di beni difettosi, laddove:

- l’intervento avvenga in adempimento di specifici obblighi normativi che impongono al produttore di sostituire il prodotto “con uno identico, non pericoloso ed idoneo all’uso”;

- nel prezzo originario di vendita siano compresi gli oneri e le spese inerenti alle operazioni di sostituzione.

Inoltre, in considerazione dell’esclusione dall’ambito di applicazione dell’IVA, le operazioni in esame non devono essere oggetto di documentazione tramite emissione di fattura ex art. 21 del DPR 633/72.

L’Amministrazione finanziaria, nel documento di prassi, precisa che qualora i beni fossero destinati a un altro Paese membro, non si realizzerebbe una cessione intra Ue e non sussisterebbe obbligo di presentazione degli elenchi Intrastat “neppure ai fini statistici (...) a nulla influendo la restituzione o meno dei beni da sostituire”.

Con la circ. n. 43 del 21 aprile 2023, l’INPS ha indicato gli importi giornalieri da considerare per calcolare le indennità di malattia, di maternità/paternità e di tubercolosi per determinate categorie di lavoratori con riferimento a periodi di paga compresi nell’anno 2023.

L’Istituto, quanto alle retribuzioni di riferimento nell’anno 2023, precisa che per i lavoratori soci di società e di enti cooperativi, anche di fatto i sopra indicati trattamenti economici previdenziali, per eventi da indennizzare sulla scorta di periodi di paga cadenti nell’anno 2023, sono da liquidare sulla base della retribuzione del mese precedente, comunque non inferiore al minimale giornaliero di legge (pari per il 2023 a 53,95 euro).

Viene poi chiarito che:

- per i lavoratori agricoli a tempo determinato la retribuzione di base per la liquidazione delle prestazioni non può essere inferiore al minimale di legge, pari, per il 2023, a 48 euro;

- per i compartecipanti familiari e i piccoli coloni, in attesa della comunicazione dei salari definitivi per l’anno 2023, per determinare le prestazioni economiche di malattia, di maternità/paternità e di tubercolosi sono utilizzati i salari relativi al 2022, ciò in via temporanea e comunque salvo conguaglio;

- per i lavoratori italiani operanti all’estero in Paesi extracomunitari con cui non vigono accordi di sicurezza sociale, per la liquidazione delle predette prestazioni economiche relative all’anno 2023 occorre far riferimento alle retribuzioni convenzionali

Quanto invece all’indennità di maternità/paternità con inizio nel 2023 per i lavoratori – italiani e stranieri – addetti ai servizi domestici e familiari, con la circolare in commento vengono indicate le seguenti retribuzioni convenzionali orarie:

- 7,90 euro per le retribuzioni orarie effettive fino a 8,92 euro;

- 8,92 euro per le retribuzioni orarie effettive superiori a 8,92 euro e fino a 10,86 euro;

- 10,86 euro per le retribuzioni orarie effettive superiori a 10,86 euro;

- 5,75 euro per i rapporti di lavoro con orario superiore a 24 ore settimanali.

Dopo l’indicazione degli importi da prendere a riferimento per quest’anno per le prestazioni di malattia, degenza ospedaliera, maternità/paternità e congedo parentale, da erogare ai lavoratori iscritti alla Gestione separata, con la circolare in questione si ribadisce che l’importo dell’assegno di maternità concesso dai Comuni è pari a 383,46 euro mensili, per complessivi 1.917,30 euro (cfr. circ. INPS n. 26/2023), mentre quello relativo all’assegno di maternità per lavori atipici e discontinui (c.d. assegno di maternità dello Stato) nel 2023 è pari, nella misura intera, a 2.360,66 euro (nel 2022 l’assegno era pari a 2.183,77 euro).

Il Ddl. di ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra Italia e Svizzera relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri, vede una importante novità, finalizzata a recepire l’intesa politica raggiunta tra i due Stati lo scorso 20 aprile 2023.

In termini generali, l’art. 2 dell’Accordo, definisce “lavoratore frontaliere” una persona residente in un Comune il cui territorio si trova nella zona di 20 km dal confine con l’altro Stato che svolge attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera dell’altro Stato (i Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese per quanto riguarda la Svizzera), ritornando quotidianamente al proprio domicilio.

Con riferimento a tali soggetti è disposta la tassazione concorrente, nel limite dell’80% dell’imposta “ordinaria” dovuta nello Stato in cui l’attività è svolta.

Tale regola opera solo per i “nuovi” frontalieri, posto che, in virtù di uno specifico regime transitorio, rimangono imponibili solamente in Svizzera i redditi dei frontalieri italiani che svolgono, alla data di entrata in vigore dell’Accordo o tra il 31 dicembre 2018 e la data di entrata in vigore dell’Accordo, attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera svizzera.

Tutto ciò premesso, l’emendamento governativo dispone che, nelle more dell’entrata in vigore della disciplina a regime in materia di telelavoro, dal 1° febbraio 2023 al 30 giugno 2023 i giorni di lavoro svolti nello Stato di residenza in modalità di telelavoro, e fino ad un massimo del 40% del tempo di lavoro, dai lavoratori frontalieri si considerano effettuati nell’altro Stato.

In pratica, sulla falsariga dell’Accordo amichevole che la Confederazione Elvetica ha siglato con la Francia, anche nei rapporti con l’Italia verrà ammesso lo svolgimento da remoto di una parte non preponderante della prestazione lavorativa (sino al 40%) senza che ciò faccia perdere alla persona lo status di frontaliere e i relativi benefici.

Ulteriore aspetto contenuto nell’emendamento governativo riguarda l’eliminazione della Svizzera dalla black list delle persone fisiche prevista dal DM 4 maggio 1999, demandata ad un apposito decreto di modifica da emanare entro 30 giorni dall’approvazione della legge di ratifica, dando seguito anche in tal caso all’accordo politico dello scorso 20 aprile.

In merito, è disposto che l’efficacia delle suddette modifiche decorra dal primo periodo di imposta successivo a quello di pubblicazione sulla G.U. del decreto di modifica.

Sempre dal 2024 troveranno applicazione alcune ulteriori modifiche previste dallo stesso disegno di legge.

È disposto, in primo luogo, un aumento della franchigia applicabile a tutti i lavoratori frontalieri italiani (quindi, non solo a quelli che lavorano nella Confederazione Elvetica), che passerebbe da 7.500 euro a 10.000 euro, nonché l’esclusione dalla base imponibile IRPEF degli assegni di sostegno al nucleo familiare erogati dagli enti di previdenza dello Stato in cui il frontaliere presta l’attività lavorativa.

Si aggiungono poi alcune disposizioni di carattere previdenziale, tra le quali si segnala la deducibilità dei contributi previdenziali per i prepensionamenti di categoria che, in base a disposizioni contrattuali, sono a carico dei lavoratori frontalieri, nell’importo risultante da idonea documentazione; si tratta, anche in tal caso, di una disposizione valevole per tutti i lavoratori frontalieri e non solo quelli che lavorano nelle zone di frontiera della Svizzera.

Gli importi di assegno unico erogabili per l’anno 2023 e le relative soglie ISEE aumentano per effetto della rivalutazione annuale sulla base della variazione, pari all’8,1%, dell’indice dei prezzi al consumo rilevata dall’ISTAT con riferimento al biennio 2021/2022. L’importo massimo sale infatti da 175 a 189,20 euro per ISEE fino a 16.215 euro (contro la precedente soglia pari a 15.000 euro), mentre l’importo minimo sale da 50 a 54 euro per ISEE a partire da 43.240 euro (contro i 40.000 euro previsti in precedenza).

Si ricorda infatti che l’art. 1 commi 357-358 della L. 197/2022 ha aumentato, al ricorrere delle condizioni previste, gli importi base dell’assegno previsto per i nuclei familiari con figli minori, rendendo strutturali le agevolazioni previste per il 2022 in favore dei figli maggiorenni disabili e aumentando la maggiorazione forfetaria per i nuclei familiari con quattro o più figli

Per effetto di tali interventi, dalla mensilità di gennaio 2023 gli importi dell’assegno in esame vengono incrementati del 50% in caso di figli a carico di età inferiore a un anno. Il medesimo incremento è riconosciuto anche per i nuclei familiari con almeno tre figli, per ciascun figlio nella fascia di età da uno a tre anni, con un ISEE fino a 43.240 euro. Ipotizzando un nucleo familiare in possesso di ISEE 2023 pari a 25.000 euro, composto da tre figli, di cui uno di 25 anni convivente con i genitori, uno di 14 anni e uno di due anni, gli importi saranno i seguenti: nessun importo per il primo figlio; 144,90 euro mensili per il secondo figlio; per il terzo figlio nella fascia 1-3 anni, spettano 217,35 euro (144,90 + 72,45 euro, ossia il 50% dell’importo). Al nucleo spettano inoltre 67 euro a titolo di maggiorazione per il terzo figlio, per un totale di 429,25 euro.

Passando poi alla maggiorazione mensile spettante ai nuclei con almeno quattro figli, l’INPS ricorda come questa sia stata incrementata da 100 a 150 euro dalla legge di bilancio 2023 e che in tali casi l’assegno spetta solo per i figli che hanno i requisiti per la prestazione, benché ai fini della numerosità del nucleo stesso vadano considerati tutti i figli a carico dei genitori secondo le regole di appartenenza al nucleo valide ai fini ISEE.

Con la circ. n. 19, l’INPS ha indicato le misure delle aliquote, gli importi reddituali (massimale e minimale di reddito), nonché le modalità di calcolo e versamento dei contributi dovuti per il 2023 dagli iscritti alle Gestioni speciali artigiani ed esercenti attività commerciali.

Va subito evidenziato come, in seguito alla variazione in aumento dell’8,1% dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo riferita al biennio 2021/2022, i valori che riguardano il minimale e il massimale di reddito, utili ai fini del calcolo della contribuzione dovuta per il 2023, risultino notevolmente incrementati rispetto allo scorso anno.

Infatti, il minimale di reddito da prendere in considerazione per quest’anno ai fini del calcolo del contributo IVS dovuto da artigiani e commercianti, risulta pari a 17.504 euro (erano 16.243 euro lo scorso anno), mentre il massimale di reddito ammonta a 86.983 euro (80.465 euro nel 2022) per coloro che si sono iscritti alle Gestioni prima del 1° gennaio 1996, ovvero a 113.520 euro (erano 105.014 euro lo scorso anno) per coloro che si sono iscritti a partire da tale data.

In pratica, per gli iscritti alla Gestione commercianti l’aliquota complessiva è pari al 24,48%, mentre per gli iscritti alla Gestione artigiani la misura si colloca al 24%.

I valori delle aliquote si riducono invece del 50% nel caso di iscritti con più di 65 anni di età (art. 59 comma 15 della L. 449/97), mentre per i coadiuvanti con età non superiore a 21 anni, le aliquote sono fissate nella misura del 23,25% per gli artigiani (22,80% lo scorso anno) e del 23,73% per gli iscritti alla Gestione commercianti (23,38% nel 2022).

Infine, si conferma il contributo aggiuntivo per le prestazioni di maternità ex art. 49 della L. 488/99, fissato nella misura di 0,62 euro mensili (7,44 euro su base annuale).

Tutto ciò premesso, il contributo calcolato sul minimale di reddito per il 2023 risulta così determinato: per i titolari di qualunque età e coadiuvanti di età superiore ai 21 anni, l’importo è pari a 4.208,40 euro annui (4.077,12 euro per i coadiuvanti “under 21”) per gli iscritti alla Gestione artigiani, ovvero pari 4.292,42 euro (4.161,14 euro per i coadiuvanti con meno di 21 anni) per gli esercenti attività commerciali.

Sulla base dei predetti valori è poi possibile calcolare gli importi per i periodi inferiori all’anno solare. In pratica, il contributo sul minimale risulta pari a 350,70 euro mensili per gli artigiani (339,76 euro per i coadiuvanti con età inferiore ai 21 anni) e a 357,70 euro per gli esercenti attività commerciali (346,76 euro per i coadiuvanti con età inferiore ai 21 anni).

Per quanto riguarda, invece, il versamento dei contributi, che dovrà essere effettuato utilizzando il modello F24, nella circolare in commento si precisa che quelli dovuti sul minimale di reddito dovranno essere versati in 4 rate, alle scadenze del 16 maggio, 21 agosto, 16 novembre del 2023 e del 16 febbraio 2024.

Invece, i pagamenti dei contributi dovuti sulla quota di reddito eccedente il minimale, a titolo di saldo 2022, primo e secondo acconto 2023, dovranno essere effettuati in occasione dei consueti versamenti IRPEF.

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